« Fino a quando Signore non vendicherai il sangue dei tuoi santi? » Ap 6, 9-11

note introduttive

Potrebbe sembrare che questa rubrica esuli dal fine proprio del nostro sito mariano ma, in realtà, non è così perché è dalle indicazioni stesse della Vergine Maria durante le sue apparizioni che si scopre l’importanza della riflessione e della meditazione sulla Sacra Scrittura a cui di frequente Ella si appella e di cui invita alla lettura sapienziale.

Nei messaggi di San Nicolas Maria Immacolata spesso, al termine delle sue parole, invitava a leggere una pericope biblica da Lei indicata che avesse attinenza con il suo messaggio.

Ad Anguera molto spesso presenta figure bibliche come modelli di fede da seguire ed invita a riscoprire i “tesori della Sacra Scrittura”.

I messaggi di Maria sono sempre profondamente biblici, come biblici sono anche i segni che Lei lascia con il suo modo di apparire, con alcune devozioni particolari che richiede, con numerose circostanze (geografiche e temporali) legate al suo manifestarsi.

Il teologo D. Foley, in un suo ottimo libro sulle apparizioni mariane, ha ravvisato in diverse apparizioni moderne un compimento delle figure antiche per cui ha potuto chiamare la Vergine Addolorata di La Salette nuovo Mosè quella di Fatima nuovo Elia, ecc.

Da suor Lucia di Fatima poi scopriamo che il contenuto il significato del Terzo Segreto “è tutto nei Vangeli e nell’Apocalisse” e in particolare nei capitoli VIII e XIII.

Vorrei allora offrire di tanto in tanto riflessioni bibliche, quelle in particolare che abbiano attinenza con i temi trattati nelle apparizioni e nei messaggi della Vergine Santissima e quelle che possono aiutarci a capire il momento peculiare in cui ci troviamo. Per questo prendo come maestro il Servo di Dio don Dolindo Ruotolo.

Non che il suo commentario alla Sacra Scrittura sia il solo affidabile ma penso personalmente che, a motivo della sua notevole santità, abbia raggiunto una penetrazione delle Scritture decisamente maggiore rispetto ad altri pur validi esegeti che tuttavia fanno valere di più il dato scientifico (che di per sé non è sbagliato ma non la ritengo la migliore via da battere) su quello mistico.

I commenti di don Dolindo nutrono l’anima e guidano ad assaporare e penetrare i segreti di quella “Lettera d’amore” (come la definiva san Pio da Pietrelcina) scritta dallo Spirito Santo per la salvezza soprannaturale degli uomini.

 

 

Riferimento: Ap 6, 9-11

(Consiglio di leggere prima la pericope biblica di riferimento per poter cogliere meglio le spiegazioni di don Dolindo. L’italiano è un po’ datato scrivendo don Dolindo nel 1943-44 ma si capisce tutto integralmente per cui preferisco lasciare il testo così com’è).

 

« In ogni tempo alle ambizioni dell’imperialismo, alle guerre, alla fame, all’epidemia, alle morti per i flagelli si sarebbero unite le morti degl’immolati per la fede; l’uomo, invece di riconoscere la propria colpevolezza e la propria miseria, avrebbe sfogato la sua folle ira contro i servi e le serve del Signore, ed avrebbe posto il colmo alla propria perfidia immolandoli.

Essi sarebbero apparsi come insani, sopraffatti dalla forza e dalla giustizia, e la loro morte avrebbe aggiunto un nuovo e più terribile conto alle umane responsabilità. Per questo i beati martiri invocavano giustizia, e volevano che fosse stato subito ripristinato sulla terra medesima il manomesso onore del Signore, e fosse stato vendicato il loro sangue non per odio contro i persecutori, ma per amore al santo ed al Verace eterno.

Ma che cosa sono i secoli innanzi all’eternità? E come poteva Dio ascoltare quelle voci supplicanti, lasciando incompleto il suo disegno d’amore sulle anime peregrinanti in terra? Non si toglie l’impalcatura che quando è finita la fabbrica, né si smonta il telaio e lo si libera dagli sfilacci che quando è finito il ricamo.

Ora, Dio doveva ancora elevare il fastigio dell’edificio della sua gloria nei martiri, e doveva ancora trapuntare di novelli rubini il suo ricamo; perciò Egli, nel suo amore, rispose al supplicante grido dei gloriosi immolati rivestendoli di una veste bianca, cioè facendoli rifulgere di nuovo splendore di gloria, e facendo dir loro che stessero quieti ancora per un po’ di tempo, sino a tanto che fosse completo il numero dei loro conservi e fratelli, che dovevano essere uccisi come loro.

Ogni epoca della Chiesa ha i suoi martiri, ed essi tutti insieme formano un disegno meraviglioso di santità e di verità per la gloria del santo e Verace. I martiri suppongono i persecutori, abbietti strumenti volontari di satana e involontari della divina gloria. Essi, schiavi della loro perfidia e ridotti schiavi perché vinti da satana, diventano come gli schiavi romani di guerra, che elevavano i grandi edifici, sgombravano le macerie e ripulivano dalla melma i corsi di acque fecondanti le terre. Non volendo essere servi amorosi di Dio, mossero in guerra contro Lui e il suo Cristo, e diventarono schiavi per la sua stessa gloria.

Dio li conosce tutti ad uno ad uno, e vede tutti quelli che verranno sino al termine dei secoli; aggiunge al suo ricamo di amore altre perle, e si serve di loro per raccoglierle dalle oscure caverne delle scogliere terrene, tra le tempeste fluttuanti dei secoli. Essi, colmi di odio, massacrano i corpi dei martiri come schiavi che spezzano il guscio delle conchiglie perlifere, per dispetto del padrone o per vandalismo brutale; ma il Signore sa raccogliere le sue perle sul loro cammino, e li lascia fare per compiere il suo ricamo d’amore immenso e di smagliante gloria.

Alle piccole creature questa sua pazienza sembra quasi un’acquiescenza alla perversità umana, e perciò vorrebbero giustizia contro le ingiustizie a cui essa si abbandona: Sino a quando, o Signore, santo e verace, non fai giudizio e non vendichi il sangue nostro sopra coloro che abitano la terra? Ma il Signore sa che cosa sprizza dal profondo delle potenze di un’anima quando il suo corpo dolora o s’immola, sa Egli solo quante faville di luce s’effondono dalla povera sabbia, resa granito per la sua grazia, e lascia che il maglio la percuota finché quelle scintille non abbiano acceso nella Chiesa altri incendi di carità (…).

Il grido degli uccisi “per la Parola di Dio e per la testimonianza che avevano”, è l’espressione dello stupore, per non dire dello scandalo delle creature di fronte al mistero dell’immolazione delle anime e della sopraffazione dei santi sulla terra. Sino a quando o Signore, santo e verace, gridano tutti di fronte ai misteri del dolore, dell’ingiustizia, del male che sembra trionfante, tutti, persino i beati del Cielo, finché Dio non manifesta la sua gloria nel Giudizio universale.

Ad essi, nella loro stessa felicità, il mistero sembra penoso, perché la loro gloria non è completa se non dopo il trionfo del Redentore innanzi a tutte le genti, e quando il loro corpo, risorto da morte, sarà fatto partecipe del loro splendore.

Dio non rivela loro il mistero, li esorta solo a star quieti ancora per un po’ di tempo, e ad attendere che fosse completo il numero dei loro conservi e fratelli che dovevano essere uccisi come loro. Dio vuole da noi un pieno abbandono in Lui, e una piena fiducia nelle sue arcane disposizioni. Non possiamo discutere, dobbiamo star quieti ed attendere. La presunzione di voler capire tutto e di voler scrutare tutto è quello che molte volte uccide la nostra fede e ci priva di innumerevoli grazie. Lo spirito critico, che presume ragionare là dove può solo adorare è il meno adatto a capire la profondità di certi misteri. Nel presumere di scrutarli ci si confonde e si rimane avvolti da più fitte tenebre.

Dio lavora mirabilmente dal nulla e sul nulla, e la sua azione è più grande sulle anime che per l’umiltà si avvicinano quasi ai confini del nulla e vivono nel nulla della loro piccolezza. È questo un principio di vita soprannaturale così importante e fondamentale, che bisogna scolpirselo nell’anima. È un principio così vitale per la nostra illuminazione e santificazione, che Gesù Cristo ne fece un particolare ed esplicito ringraziamento al Padre: Ti ringrazio che hai nascosto queste cose ai grandi e le hai rivelate ai piccoli (Lc 10, 21; Mt 11, 25) (…).

Meno la creatura presenta a Lui la propria entità, e più Egli le si effonde con generosa bontà; più la creatura si attacca alla propria entità, e meno Egli opera in lei, per non ledere minimamente quel diritto di vita che le ha dato. Sta in questo il concetto ultimo e profondo dell’umiltà e dell’orgoglio, dell’elevazione e dell’abbassamento delle anime ».

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