note introduttive Potrebbe sembrare che questa rubrica esuli dal fine proprio del nostro sito mariano ma, in realtà, non è così perché è dalle indicazioni stesse della Vergine Maria durante le sue apparizioni che si scopre l’importanza della riflessione e della meditazione sulla Sacra Scrittura a cui di frequente Ella si appella e di cui invita alla lettura sapienziale. Nei messaggi di San Nicolas Maria Immacolata spesso, al termine delle sue parole, invitava a leggere una pericope biblica da Lei indicata che avesse attinenza con il suo messaggio.Ad Anguera molto spesso presenta figure bibliche come modelli di fede da seguire ed invita a riscoprire i “tesori della Sacra Scrittura”. I messaggi di Maria sono sempre profondamente biblici, come biblici sono anche i segni che Lei lascia con il suo modo di apparire, con alcune devozioni particolari che richiede, con numerose circostanze (geografiche e temporali) legate al suo manifestarsi. Il teologo D. Foley, in un suo ottimo libro sulle apparizioni mariane, ha ravvisato in diverse apparizioni moderne un compimento delle figure antiche per cui ha potuto chiamare la Vergine Addolorata di La Salette nuovo Mosè quella di Fatima nuovo Elia, ecc. Da suor Lucia di Fatima poi scopriamo che il contenuto il significato del Terzo Segreto “è tutto nei Vangeli e nell’Apocalisse” e in particolare nei capitoli VIII e XIII. Vorrei allora offrire di tanto in tanto riflessioni bibliche, quelle in particolare che abbiano attinenza con i temi trattati nelle apparizioni e nei messaggi della Vergine Santissima e quelle che possono aiutarci meglio a capire il momento peculiare in cui ci troviamo. Per questo prendo come maestro il Servo di Dio don Dolindo Ruotolo. Non che il suo commentario alla Sacra Scrittura sia il solo affidabile ma penso personalmente che, a motivo della sua notevole santità, abbia raggiunto una penetrazione delle Scritture decisamente maggiore rispetto ad altri pur validi esegeti che tuttavia fanno valere di più il dato scientifico (che di per sé non è sbagliato ma non la ritengo la migliore via da battere) su quello mistico. I commenti di don Dolindo nutrono l’anima e guidano ad assaporare e penetrare i segreti di quella “Lettera d’amore” (come la definiva san Pio da Pietrelcina) scritta dallo Spirito Santo per la salvezza soprannaturale degli uomini. |
Riferimento: Daniele 9, 20-27
(L’italiano è un po’ datato scrivendo don Dolindo nel 1943-44 ma si capisce tutto integralmente per cui preferisco lasciare il testo così com’è).
Daniele pregò ardentemente per ottenere misericordia sul popolo suo e sulla città di Gerusalemme, e la sua umile e confidente preghiera, una delle più belle e complete dei Sacri Libri, non rimase inesaudita; anzi il Signore con la sua divina signorilità volle consolare il suo servo con un annuncio e una promessa più grande, della quale la liberazione dalla schiavitù babilonese dopo i settant’anni era solamente una figura.
A primo aspetto, sembrerebbe quasi che Dio non abbia risposto a tono al suo servo, perché questi lo supplicava per la fine delle schiavitù dei settant’anni. Quell’annuncio, poi, di un periodo di 483 anni, espresso oscuramente sotto il simbolo di settanta settimane, poteva essere addirittura scoraggiante per il profeta, se egli non avesse avuto un pieno abbandono in Dio ed uno sguardo costantemente fisso alla grande speranza della redenzione.
Chiunque avrebbe capito che la schiavitù dovesse durare altri 483 anni e si sarebbe sfiduciato. Inoltre, l’oscurità di quell’annuncio che era fatto per essere preciso, avrebbe potuto confondere la mente dell’uomo di Dio. Settanta settimane, senza specificare se erano di giorni, di mesi o di anni; un periodo determinato che diventava incerto, tanto incerto da far credere ad alcuni rabbini che si tratti persino di settanta periodi di giubileo, per sfuggire all’evidenza del compimento della profezia nel Redentore. Settanta settimane divise, poi, in sette, sessantadue ed una, con annunci sempre oscuri benché determinati.
Perché questo linguaggio in Dio, eterna verità? Per lasciare sempre il campo alla fede, poiché Dio non ci parla per farci solo conoscere ciò che avverrà, il che servirebbe a soddisfare una nostra curiosità, ma per esercitarci nella fede e nella fiducia in Lui. Anche nelle cose più evidenti Dio lascia una zona di tenebre e di mistero, affinché la creatura lo adori, lo ami, confidi in Lui e rimetta a Lui solo il compimento di quello che Egli vuol fare: è questo il modo di agire di Dio, e nessuno potrebbe ardire di contendere con Lui senza mostrarsi stolto.
L’oscurità, poi, è anche un atto di misericordia, poiché, rivelandosi, il Signore alla libera creatura, che potrebbe anche rifiutare la sua rivelazione, Egli ne attenua la responsabilità con l’oscurità, in modo che la sua ripulsa alla verità, benché suggerita da cattiva intenzione e da disorientamento di fede, appaia solo come una ripulsa fatta ad una cosa scura e inesplicabile.
L’uomo ingrato, annebbiato dalle sue passioni e dal suo orgoglio, è capace di rifiutare anche la verità evidente, come tante volte si vede nei miscredenti o in quelle anime che pretendono vedere tutto dal loro punto di vista e, diremmo quasi, attraverso i colori delle proprie lenti. Parlando oscuramente, Dio dà ai buoni il merito della fede, ai cattivi l’attenuante nella miscredenza, agli stolti di buona volontà la possibilità di essere istruiti in tante cose che ignorano, ed a quelli che rifiutano di essere guidati, una diminuzione nella loro colpa (1).
DANIELE UOMO DI GRANDI ASPIRAZIONI
Mentre Daniele ancora parlava e pregava, e confessava i suoi peccati ed i peccati del suo popolo, umiliando le sue preghiere al cospetto del Signore, ecco che l’arcangelo Gabriele, volando fino a lui, lo toccò per scuoterlo dal suo profondo abbattimento nel tempo del suo sacrificio vespertino, cioè nell’ora nella quale in Gerusalemme, prima che fosse distrutto il tempio, si offriva il sacrificio del vespro, e gli disse: Daniele, io sono ora uscito per istruirti, e affinché tu comprenda. Fin dall’inizio delle tue suppliche è uscita la parola, ed io sono venuto a fartela conoscere, perché tu sei un uomo di desideri; tu pertanto bada bene alla parola e comprendi la visione.
È mirabile! Daniele, uomo di grandi desideri, cioè di grandi aspirazioni e di piena fiducia in Dio, aveva cominciato a pregare ed era uscita la parola, cioè il decreto della divina volontà, che non solo esaudiva la sua preghiera, ma determinava il tempo preciso della grande misericordia della redenzione.
La preghiera umile e confidente di uno solo aveva, dunque, attratto sulla terra la luce dei misteriosi disegni di Dio, e con ogni probabilità ne aveva abbreviato il compimento. La preghiera aveva mosso la misericordia infinita di Dio, ed aveva chiamato sulla terra un arcangelo, messaggero di questa misericordia. È una cosa che ci raccoglie in profonda ammirazione sull’efficacia della preghiera, e ci fa misurare quello che potremmo ottenere da Dio se pregassimo veramente!
Dal principio dell’orazione comincia già ad effondersi la bontà di Dio, anche quando noi non ce ne accorgiamo; è dunque, per noi una grande consolazione pensare che, appena ci raccogliamo in preghiera, il Cielo si apre su di noi, e la misericordia di Dio ci inonda, cominciando già ad esaudire le nostre suppliche.
La preghiera è quasi come una semente posta nelle condizioni di germinare, intorno alla quale si determinano subito quelle forze che a poco a poco la schiudono, attivando il suo germe, e la rendono prima tenero germoglio, e poi pianta rigogliosa che produce il fiore ed il frutto.
Dopo aver richiamato l’attenzione del profeta su quello che stava per dire, l’arcangelo continuò: Sono state fissate settanta settimane per il tuo popolo e per la tua santa città, affinché sia tolta la prevaricazione ed abbia fine il peccato, e sia cancellata l’iniquità e venga la giustizia sempiterna, e si compia la profezia e sia unto il Santo dei santi.
Con queste parole, il messaggero di Dio sintetizzò tutto il grandioso annuncio che veniva a portare in terra: per il compimento non della semplice fine della schiavitù babilonese, ma della fine della schiavitù del peccato, dovevano passare ancora settanta settimane, evidentemente di anni e non di giorni. Al termine di questo tempo, sarebbe stata tolta la prevaricazione, avrebbe avuto fine il peccato e sarebbe stata cancellata l’iniquità, cioè sarebbe stata effusa quella misericordia che doveva togliere la prevaricazione dell’uomo, vincere il peccato e cancellare l’iniquità.
A questo tendeva il beneficio immenso della redenzione, promessa e figurata per tanti secoli, e non ad una liberazione materiale da un’oppressione politica o dai mali temporali. Doveva venire in terra la giustizia sempiterna, il Figlio di Dio, eterna Sapienza che tutto regola nella giustizia e nell’amore, ed allora si sarebbero compiute in Lui le visioni e le profezie, ed Egli sarebbe stato unto dallo Spirito Santo come Re ed eterno Sacerdote, ed avrebbe compiuto l’opera sua.
L’arcangelo determinava i vari periodi di questo percorso di tempo delle settanta settimane, confermando con questo che si trattava di anni e non di giorni. Da quando uscirà l’editto affinché sia riedificata Gerusalemme, fino al Cristo, Duce, condottiero e re del suo popolo, vi saranno sette settimane e sessantadue settimane, e di nuovo saranno edificate le piazze e le mura in tempo di angustia.
L’editto per la riedificazione di Gerusalemme fu emanato da Artaserse Longimano, come si legge nel Libro di Esdra capitoli 1-6, e 4, 4-6. In questo libro sono descritte le contraddizioni che gli Ebrei incontrarono dai loro nemici per impedire loro il lavoro, il quale fu fatto veramente nell’angustia, e durò quarantanove anni, ossia esattamente sette settimane di anni. Dal compimento della riedificazione di Gerusalemme passarono 434 anni fino alla venuta del Redentore, ossia sessantadue settimane. Nell’ultima, il Redentore fu rinnegato ed ucciso, e il popolo suo che lo rinnegò fu disperso per tutta la terra, come aveva annunciato san Gabriele a Daniele. Il popolo e il duce che dovevano distruggere Gerusalemme e il santuario furono i Romani, capitanati da Tito, e dopo questa rovina venne sugli Ebrei la desolazione che noi ancora vediamo. Il Redentore, morendo, affermò l’alleanza di Dio con gli uomini, stabilendo la sua Chiesa, e raccogliendo moltissimi uomini al suo amore; Egli operò pubblicamente per tre anni circa, cioè per quasi la metà di una settimana di anni e, nel resto della settimana, operarono i suoi apostoli, i quali, compiuto il tempo della profezia di Daniele, passarono ai Gentili e si sparsero per tutta la terra.
Nella metà dell’ultima settimana di anni, col Sacrificio che il Redentore offrì di se stesso, venne meno l’oblazione e il sacrificio del tempio che non ebbe più valore, e subentrò nel luogo santo fin d’allora l’abominazione della desolazione, cioè la desolazione abominevole che culminò nelle profanazioni del tempio fatte al tempo dell’assedio di Gerusalemme, e che dura tuttora e durerà sino alla fine, poiché mai più il tempio sarà riedificato.
Dio manifestò al suo servo supplicante questi grandi avvenimenti futuri non solo per dirgli che aveva ascoltato la sua sovrabbondante preghiera, ma perché la grandiosa profezia fosse rimasta nei secoli quasi come il segno di riconoscimento del Redentore e dell’opera sua. Daniele uomo di desideri non fu dunque deluso nelle sue grandi aspirazioni e nella sua fiducia in Dio; anzi, constatò che il Signore gli prometteva molto più di quello che egli aveva domandato.
Così fa Dio con tutti quelli che hanno grandi desideri della sua gloria e confidano in Lui. Si può dire, senza timore di errare, che le grandi opere sorte nella Chiesa sono state tutte come lo sviluppo di un grande desiderio realizzato dall’infinito e misericordioso amore di Dio.
La sfiducia, invece, e la grettezza di spirito feriscono a morte ed esauriscono miseramente le opere più fiorenti, soprattutto quando esse sono colpite da contraddizioni e da persecuzioni.
Bisogna sospirare a grandi cose e sperare il compimento dalla divina Bontà per vederle realizzate. Sospirarle e sperare è in fondo un apprezzamento sincero della grandezza, della potenza e dell’amore di Dio, ed è glorificazione del suo Nome adorato.
Bisogna avere grandi desideri per la propria santificazione, e sospirare alla più grande santità; grandi desideri per il bene delle anime, e sperare da Dio quelle grandi misericordie che le rinnovano; grandi desideri per la Chiesa, ed essere certi della sua rinnovata vitalità e del suo trionfo. Più siamo piccoli innanzi a Dio e fiduciosi nella sua bontà, e più Egli è generoso nel donarci le sue grazie.
Nelle persecuzioni, poi, bisogna sperare contro la speranza, e persuadersi che gli uomini sono una stolta e vuota nullità innanzi a Dio. Essi irrompono con tutte le loro forze e la loro malizia, e Dio li lascia per poco operare a loro agio, ma poi li confonde e, quando credono di essere vincitori, sono travolti come fuscelli di paglia innanzi al turbine del vento.
Note:
(1) Queste riflessioni sono preziose per la vita spirituale. Il Signore – dice la Sacra Bibbia – dispone tutte le cose per il bene degli eletti anche quando, noi, povere creature, non riusciamo a comprendere subito i misteriosi disegni di Dio. Egli che vuole aumentare i meriti (e di conseguenza, un giorno, la gloria dei giusti), attende sempre con tanta pazienza e amore la conversione di quanti si sono allontanati da Lui.
Apriamo le porte al Signore.
"Mi piace""Mi piace"